Autonomia: le organizzazioni di sistema servano i territori

Veduta di Fiera di Primiero e Transacqua - ph. Tanya
Veduta di Fiera di Primiero e Transacqua - ph. Tanya

Pare proprio che il corso di laurea “serale e a distanza” in Gestione aziendale dell’Università di Trento partirà a settembre anche nella piccola e lontana Comunità di Primiero, fornendo ad un gruppo di studenti e studentesse locali un’opportunità inedita di crescita personale e professionale. Una novità resa possibile dalla caduta di alcune rigidità accademiche e organizzative, effetto collaterale della crisi pandemica, dalla compartecipazione economica dell’ente sovracomunale e dalla effettiva infrastrutturazione digitale del territorio, finalmente servito dalla banda ultra larga.

Qualcosa si muove, ma guardando ai potenti mezzi a disposizione della Provincia di Trento, siamo nelle periferie a desiderare una maggiore “diffusione” delle responsabilità e dei benefici di un’autonomia tanto difesa e predicata all’esterno quanto poco praticata internamente. Le società pubbliche di sistema, l’Università, le fondazioni Kessler e Mach (insieme appassionatamente nell’Hub Innovazione Trentino), i Musei, i grandi Festival, e molti servizi provinciali sembrano ancora operare in modalità assai centralista, e si faticano a coglierne ed apprezzarne risultati e “trasferimenti” calati nelle pieghe delle valli trentine.

Strade, impianti, caserme, scuole e servizi sanitari non sono stati certo negati a nessuno (anche se su quest’ultimo fronte il piano si sta pericolosamente inclinando verso il de-presidio e la privatizzazione), ma il sostegno ad una programmazione di sviluppo socio-economico di area vasta ed a relazioni forti tra centro e periferia risulta tutt’oggi lacunoso e non politicamente prioritario.

I piani territoriali di comunità al più hanno visto l’approvazione di documenti preliminari o stralci specialistici cui non pare le “macchine” patrimoniali, scientifiche, tecnologiche, culturali della Provincia abbiano fornito né pensiero né gambe per risolvere, migliorare, innovare.  Eppure di nuova considerazione e pianificazione strategica le valli “alte” avrebbero gran bisogno, ben oltre le opere milionarie a puntello della monocoltura turistica.

La “resistenza” della popolazione nei paesi di montagna non può prescindere nemmeno a breve termine da avveduti investimenti nel capitale umano e sociale, che insieme allo straordinario patrimonio ambientale naturale e coltivato rende e può rendere più attrattivo e resiliente il territorio.  “Magnetico” in primo luogo per i ragazzi e le ragazze che, laureati e specializzati, altrimenti se ne vanno a frotte… ma anche per nuove famiglie in grado di apprezzare gli assetti ed i valori presenti, contribuendo al loro mantenimento ed evoluzione.

In difetto di queste “aperture” e prospettive, agevolate come auspicato da una maggiore introspettiva territoriale delle paludate istituzioni trentine, le valli rischiano di perdere ulteriori “numeri” e vedere quindi progressive “chiusure” di servizi, di cui le crescenti coorti di anziani residenti non potranno che lamentarsi invano.

Comunità locali consapevoli, economicamente e socialmente integrate ovvero diversificate, rese partecipi degli investimenti e dei risultati della ricerca trentina, magari anche dotate di garanzia di rappresentanza in Consiglio provinciale, sapranno forse uscire dall’effetto “temporary shop” cui sembrano destinate dalla estrema ciclicità stagionale della propria vitalità e dalla subordinazione politica alla benevolenza del Governatore di turno.